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Sogno di una notte di mezzo inverno

Stanotte ho sognato una storia così ingarbugliata che devo raccontarla. E pensando a dove farlo, mi son detto che è meglio nel mio personalissimo sito web, piuttosto che su un blog gestito da altri.
Insomma, per venire al dunque, la parte della storia che ricordo è solo l’ultimissimo segmento, lasciando spazio per chissà quali rocambolesche avventure nel lungo prologo.

[…] e quindi entro, tramite una porta scorrevole in stile Doom II, in un enorme stanzone nel quale campeggia un cannone automatico a quadruplo laser azzurro, che subito dopo aver rilevato la mia presenza fa per girarsi verso di me. Ormai preparato all’impreparabile, mi tuffo di corsa dietro di esso e corro oltre, evitando la vaporizzazione. Assieme a me, mi accorgo, c’è un compagno di viaggio così importuno che sembra Richard Cunningham di Happy Days. Ci arrampichiamo assieme su una altissima pittaforma metallica che si trova nello stanzone, sullo stesso lato del cannone automatico a quadruplo laser azzurro, ma molto più distante dall’ingresso. Stranamente il cannone ci ignora durante questa manovra. Le scale metalliche che portano alla piattaforma metallica sono zigzaganti ma oltremodo ripide, e ci cruogioliamo una volta in cima beatamente sdraiati a recuperare fiato. Da quella altezza mi rendo conto che in realtà lo stanzone è una specie di hangar, un cui lato è completamente aperto all’esteno (e qui mi chiedo, ma per quale motivo non me ne sono accorto prima), e triste realtà delle tristi realtà, si apre, lateralmente, su un campo di battaglia dalla forma di un largo corridoio (dall’altro lato del corridoio ci sono edifici non ben specificati l’accesso ai quali è non ben specificato). In questo largo corridoio si affrontano successive ondate di truppe; quelle "amiche" indossano tutte una maglietta aderente verde militare che lascia trasparire torsi robustie muscolosi, un passamontagna nero, pantaloni mimetici militari, e anfibi. Praticamente sembrano i terroristi di Counterstrike. Suppongo di averli identificati come "amici" perché gli altri sono molto peggio: infatti noto subito schierati dalla parte opposta dei grossi carri robotizzati aracnidiformi, di quelli che vengono dipinti nel futuro cibernetico di Ghost in the Shell – Stand Alone Complex, ma (magari fa tendenza) sono completamente pitturati in stile mimetico militare, e sono dotati di batterie di missili a tracciamento termico (ovviamente); dalla loro parte, ci sono anche vaste truppe che sembrano composte dai soldati imperiali in uniforme bianca di Star Wars.
Spaventato da tutto ciò, ma rendendomi anche conto che quei poveretti dei miei "alleati" sono in inferiorità tattica e numerica, decido di far qualcosa; ed è qui che mi dico "ma sono dentro Half Life 2!"… infatti, con mia sorpresa, mi scopro a trasportare 5 granate, ed esattamente 5, che sembrano barattoli di pelati da 250gr con il manico, solo che sono colorati di verde scuro. Insomma, prendo bene la mira, tenendo in considerazione la velocità di avanzamento dei carri robotizzati, e la distanza che la granata stessa deve percorrere; le prime due granate finiscono per accucciarsi sotto la pancia dei suddetti carri robotizzati, subito dopo aver mostrato la loro scia luminosa rossa per indicare "attenti, stiamo per esplodere, allontanatevi", granate altruiste. E’ quando sento la voce robotica dei soldati imperiali in uniforme bianca dire "move out!" che decido definitivamente di trovarmi in qualche strano mod per Half Life 2. Insomma, le prime due granate esplodono sotto i carri, ma senza atterrarli; in compenso però feriscono gravemente, spazzandolo via, qualche soldato alleato.
Finalmente appare il succo della forza nemica, ovvero una ondata di soldati che hanno l’esatto aspetto degli alieni nel film "Alien"; gongolando di eccitazione, lancio una granata in mezzo al gruppo, e questa esplodendo coinvolge un Alien ed un altro nemico, che potrebbe sembrare un soldato imperiale in uniforme bianca… solo che è nero. Forse è stato annerito dall’esplosione, mah. Comunque i due vengono proiettati dall’esplosione in un lungo volo orizzontale radente il suolo, facendo zig-zag tra gli altri Alien marcianti. Gaudente della scena, mi libero in un esultante grido, ed assieme a me anche Richard Cunningham, proprio come fanno i ribelli di Half Life 2 dopo aver abbattuto uno Strider o una Gunchip dei Combine: nel mio caso invece si trattava di due unità in un esercito ancora nutrito, ed il grido, naturalmente, non fa altro che attirarmi contro l’attenzione dell’intero campo di battaglia, carri robotizzati aracnidiformi compresi, che puntano verso la mia piattaforma metallica raggiunta da scale metalliche le batterie di missili. Io e Richard Cunningham scendiamo di corsa le scale… io per primo; credendolo un rifugio sicuro corro dietro il cannone automatico a quadruplo laser azzurro, ma con mia sorpresa, pur credendo che il campo di mira fosse di soli 180°, mi rendo conto che lo stesso cannone è in grado di girare su se stesso per 360° quando i suoi fasci collimati iniziano ad avvicinarsi alla mia spalla sinistra, quindi mi rotolo sotto di essi, corro verso l’apertura dell’hangar con il cannone che mi insegue nel suo campo visivo, e finalmente mi butto all’esterno.
Già, mi butto all’esterno.
Esattamente in mezzo al campo di battaglia, ai carri robotizzati aracnidiformi, ai soldati imperiali in uniforme bianca che probabilmente si annerisce una volta investita dall’esplosione di una granata a forma di barattolo di pelati da 250gr col manico e di colore verde scuro, e assieme alle truppe di Alien. E ciò che è peggio, Richard Cunningham non è più con me, e non so che fine abbia fatto, siccome non lo vedo più neanche nell’hangar. E lì mi accorgo che i numeri rossi in basso a destra nel mio campo visivo, e che si suppone indichino le mie statistiche vitali, sono a zero per la tuta HEV, e ad un livello inferiore a 10 per i punti salute. La prima cosa che mi dico è: "Da quando in qua è cambiato il layout dell’HUD di Half Life 2?" e immediatamente dopo "Come mai sono quasi morto?"; la prima domanda non trova risposta, mentre per la seconda decido di convincermi che sono stato colpito alle spalle dal fascio laser quadruplo del cannone automatico a laser quadruplo azzurro, e non me ne sono accorto, appunto perché si tratta di un sogno. Sfuggendo oltre nel campo di battaglia, inoltrandomi nelle forze alleate in cerca di medkit, mi accorgo invece che c’è una vera e propria stazione di ricarica. Ora, si tratta di un sogno, quindi la stazione di ricarica non è esattamente come quelle ex-combine sparse nel mondo di Half Life 2, ma più esattamente somiglia ad una vecchia pompa di benzina, di metallo semi-arrugginito e coperta da una vernice biancasta che si sta spellando. Da questa pompa di benzina semiarrugginita e biancastra si diparte un tubicino di gomma con un aggancio terminale che ricorda in miniatura il bocchettone di una pompa GPL. Suppongo che l’affare vada agganciato da qualche parte nella mia HEV suite, ma solo a quel punto mi rendo conto di non indossare nessuna tuta HEV, e con la più totale naturalezza mi infilo il piccolo bocchettone nell’ombelico. Le mie statistiche vitali vengono ora visualizzate sul pannello della pompa di benzina semiarrugginita e biancasra, e noto che per primo aumenta il valore di carica della HEV suite che non indosso, fino ad oltre 100 (penso subito all’ultimo livello di Half Life 2), ma presto assume un valore numerico random di 5 cifre; successivamente la stessa cosa accade per il valore degli health points. Ben venga, mi dico.
Appena di stacco dall’ombelico il tubo di gomma, si fa vivo il presentimento di essere in un pericolo immediato: infatti in lontananza vedo un colosso che sembra The Rock de La Mummia, ma che porta con sé una enorme clava… molto più pericoloso quindi. Inizio a fuggire correndo per quello che sembra il sentiero sterrato di una grande piantagione
, e mentre fuggo, mi accorgo che non sono Gordon Freeman, ma Motoko di Ghost in the Shell – Stand Alone Complex. Cerco di seminare per quanto possibile il mio inseguitore, senza nessun vantaggio, nonostante il mio corpo cibernetico superpompato mostri più agilità dei suoi arti massicci che si spostano lentamente l’uno davanti all’altro. Questo, durante la fuga, mi fa pensare alla scena dell’inseguimento in Gone in 60 seconds, ma quello originale del 1974, non il remake, dove per quanto Maindrian, nella Ford Mustang, si destreggi in abili manovre, si ritrova sempre le volanti della polizia col fiato sul suo collo. Insomma, ironia della sorte, alla fine di questa piantagione trovo un’altra piattaforma metallica raggiunta da ripide e zigzaganti scale metalliche, evidentemente vanno di moda in questo mondo onirico. Intraprendo più in fretta che posso la scalata, stavolta senza Richard Cunningham, e mi acquatto sulla piattaforma metallica raggiunta da zigzaganti e ripide scale metalliche, ma The Rock è non solo in grado di salire a sua volta, bensì lo fa ad una ragguardevole velocità. Io mi precipito in basso, e qui non ricordo se scivolando giù per le scale in stile Price Of Persia I due troni, sul lato delle scale metalliche opposto a quello per cui sta salendo The Rock, oppure se avvantanggiandomi del mio corpo cibertnetico superpompato mi tuffo in un salto a volo d’angelo atterrando alla velocità di 36 metri al secondo. Quello che ricordo è che mi getto in una pazza fuga tornando per dove me ne ero venuto, ma non prima di notare che, alla mia sinistra, giù per una depressione che sembra vulcanica, c’è un piccolo lago semicoperto da alghe e fronde di alberi, nel quale stanno nuotando due o più persone; combatto la voglia di gettarmi anche io per un bagno, e proseguo nella fuga.
Stranamente, ma è pur sempre un sogno, mi trovo tra i filari della vigna vicino la mia casa nella vita reale, e non in mezzo al campo di battaglia che si trovava proprio nella direzione verso la quale stavo correndo. Si tratta di un terreno morbido, perché regolarmente arato da un trattore, e in pendenza. Io mi getto in preda al panico tra i fili metallici con acrobazie che sembrano quelle di Catherine Zeta-Jones in Entrampment, ma in fast-forward, mentre The Rock inesorabile procede travolgendo tutto ciò che si trova nel suo percorso. Alla fine giungo al termine della vigna, e non so come, ma io e The Rock ci concediamo una tregua ed iniziamo a chiacchierare amichevolmente del più e del meno, comodamente stesi a terra. Da vicino The Rock non sembra in realtà The Rock: è brutto quanto la fame, e inverosimilmente grasso, i suoi rotoli di lardo ricoperti di peluria riccia fuoriescono avvicendandosi da sopra la cintola; è a questo punto che si fa avanti e si dichiara nei miei confronti in maniera piuttosto esplicita… in fondo sono sempre Motoko. Io rifiuto in maniera decisa, ma gentilmente, per non farlo alterare, siccome per quanto brutto e grasso, è sempre grosso abbastanza da provocarmi notevoli danni fisici, soprattutto ad una distanza dalla quale non avrei tempo per sfuggirgli; sul suo volto si dipinge una espressione di profonda delusione.
E’ in quel momento che dall’ingresso stradale della vigna giunge un piccolo camion dal quale scendono un signore di mezza età magro e coi baffetti, che sembra Marrabbio, il papà di Licia, quella di Kiss me Licia, e una giovane ragazzetta, che sulle prime penso essere sua figlia (no, non sembrava Licia nel sogno… ma ora, ripensandoci…) ma mi confessa semplicemente essere una sua impiegata, la quale subito dopo scherza sul fatto che Marrabbio ci provi costantemente con lei. I due parlano con qualche personaggio esterno a quelli già elencati, e che non mi sono premurato di idenitificare, forse era un Alien che aveva ordinato pizze per tutto l’esercito nemico, forse era qualcun altro. La versione brutta e grassa di The Rock è misteriosamente scomparsa, forse umiliata dal mio rifiuto, ed io mi metto a giocherellare con un traino motorizzato installato sul camion, la corda del quale era avvolta in maniera piuttosto disordinata, quindi svolgo il tutto e lo riavvolgo correttamente, Marrabbio ringrazia, parlaimo del più e del meno, e di come oggi come oggi è difficile tenere in ordine le corde dei traini meccanini dei camion… poi il sogno si fa sfumato, e suona la sveglia del mio cellulare.

Amen.

Suggestioni, un gioco romantico

Il contatto intangibile degli occhi… non sai da quanto dura, non sai per quanto ancora potrebbe durare… mantiene i vostri pensieri fissi l’uno sull’animo dell’altra… e ti accorgi di come dentro di te una sensazione di… piacevole imbarazzo… cresce, e ti provoca a mantenere fisso il tuo sguardo su di lui… nonostante quel caldo invito del tuo istinto a distogliere verso il basso la tua attenzione… costringi te stessa a restituire generosamente il suo ammirare, e in questo modo quella sensazione di leggerezza nel tuo addome aumenta… fino a trasformarsi quasi in un solletico… è per questo che stai accennando un sorriso? Non lo sai, eppure indulgi in quell’impulso naturale… conscia di tradire la tua pulsione per lui… e, lo sai questo, felice di poterlo fare senza troppo sforzo… quando noti che il tuo stesso ammiccare è riprodotto sul suo viso… il suo viso… che viso… non sai per quanto ancora potrebbe durare il contatto dei tuoi occhi sul suo viso… il contatto… degli occhi? Perché solo degli occhi? Ti perdi in quella domanda, e vaghi deliziosamente tra le possibili risposte… e non ti accorgi, se non nell’ultimo tuo girovagare onirico, della distanza che si è ridotta tra voi… respiri. Respiri lentamente… ma respiri volutamente… consciamente avvertendo il flusso dell’aria calda che, dal naso, lambisce i bordi delle tue labbra protruse… figurandoti come sarebbe se potessi ascoltarne il soffiare leggero… figurandoti come, poco dopo, in migliaia di microscopici turbinii l’aria… entra dentro di te… e riempie il tuo petto.
Il suo viso.
Respiri.
I tuoi occhi… no, sono i suoi… i tuoi nei suoi… i tuoi riflessi dai suoi. Diamine, così vicini. Respiri. Misuratamente, per controllare la velocità dello sfarfallio, che avverti nel tuo petto mentre si riempie d’aria… i tuoi singoli battiti cardiaci, potresti contarli… sono distinti, chiari… eppure tralasci di contarli accorgendoti solo della loro vivace frequenza… il suo viso… respiri… il tuo cuore… l’aria calda che solletica le tue labbra protruse… il tuo respiro che lambisce… no, è il suo respiro… che lambisce le tue labbra protruse… l’aria calda che ha attraversato il suo petto e che ora tocca il tuo viso… i tuoi occhi… respiri… i tuoi occhi vedono ora solo i suoi occhi… la distanza non ti permette più di abbracciare in un solo sguardo l’interezza del suo viso… ti rendi conto di come freneticamente la tua attenzione salta dai suoi occhi… alle sue labbra… ai suoi occhi ancora, ed ancora alle sue labbra… ancora alle sue labbra… le sue labbra… e le tue… un tocco vellutato. Un tocco vellutato dei suoi polpastrelli sulla tua guancia destra. Una leggerezza eterna sulla tua pelle, con l’effetto di una deflagrazione spietata nel tuo addome… respiri… respiri… non riesci a respirare… il tuo cuore… il suo viso… tocco vellutato… esali un soffio il calore… che sale dal tuo addome e riempie il tuo petto… il calore che finalmente sfoga… dalle tue labbra… i suoi polpastrelli… tocco vellutato… tra i tuoi capelli… il suo viso… il tuo cuore… puoi solo passivamente constatare come i muscoli del tuo collo perdono il loro tono, la tua testa si reclina all’indietro.
I tuoi occhi. Chiusi.
Respiri.
Le sue dita tra i tuoi capelli.
Mentre il tuo collo si piega all’indietro, totalmente cedevole alla delicata pressione delle sue carezze… mantieni quell’ammiccante, seminascosto sorriso sul tuo volto… ora che è davvero così vicino, il suo odore non è più un incerto susseguirsi di quasi inesistenti impressioni olfattive… ma scorre con maggiore decisione assieme all’aria che respiri… ti intrattieni a pensare a come un odore, per quanto debole, può far riemergere un ricordo, o un intero treno di sensazioni dimenticate nella memoria… a come il suo odore riesca a farti perdere per qualche secondo dentro te stessa, cercando l’origine di quelle sensazioni… che sei sicura hai già provato, perché questo stato d’animo è tutt’altro che nuovo… ed il benessere che porta con sé, è tutt’altro che nuovo… qualcosa che seppur dimenticata, avevi ripromesso a te stessa di conservare gelosamente… tuttavia, presto l’importanza del cosa scompare… e ti lasci andare, completamente, al come… al come quelle sensazioni riscoperte ti fanno sentire… respiri quell’odore, e con ogni respiro quelle sensazioni che tu già conosci si amplificano… si amplificano sommandosi a quelle che ti danno già… le sue dita tra i tuoi capelli… i tuoi occhi nei suoi occhi… è come se per ogni battito del tuo cuore, l’intensità di ciò che provi salisse di un gradino… per ogni singolo respiro, l’ampiezza delle sensazioni abbracciasse nuove parti del tuo corpo.
Quando la forza di ciò che provi dentro supera la soglia del semplice piacere… e sfocia nella lascivia… poco dopo il renderti conto che le sue ampie, vigorose mani… sostengono il tuo corpo abbandonato ai sensi… un impeto di cieco desiderio spinge le tue labbra contro le sue… cieco al punto tale che, tornato un barlume di coscienza nella tua mente… la constatazione di quello che è appena accaduto è per te una sublime sorpresa, nella quale indulgi con l’abbandono proprio della sensualità sbrigliata. La pressione dei vermigli accaldati delle vostre labbra, si accompagna al frenetico susseguirsi di profondi respiri… affannosi ma appagati, appagati come l’appagante carezza delle mani sui reciproci corpi, una esplorazione dolce delle reciproche fattezze, uno scambio di attenzioni tattili.
L’appetito l’uno per l’altra è tanto e tale, che le carezze diventano stretti abbracci… ed il contatto delle labbra si trasforma in un lungo discorso fisico……………………..